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Escursione: Visita ai Palmenti Rupestri a Tripi

Note di presentazione dell’Itinerario:
Coordinate inizio: Quota inizio: metri ……….    slm
Coordinate Fine: Quota Fine:  metri ……….    slm
Escursione a piedi A/R: ……. / ………  minuti Percorso in auto dalla strada ……………..: 5 minuti
Lunghezza complessiva del percorso A/R: ……….. Km Difficoltà: Turistico, media, Esperti;

 

E’ richiesta la prenotazione per l’Escursione ai palmenti rupestri.  Si puo godere di uno Sconto del 10% alla Taberna di Arnaldo Sulle consumazioni.                                                    

La partecipazione alla escursione da diritto ad uno sconto del 10% su Pranzo o Cena; Prezzo della Escursione Euro 12,00/Persona

“Le Pietre Raccontano”: La storia di alcuni vini di 3000 anni che sono raccontate dalle pietre del territorio dei Nebrodi con i “Palmenti Rupestri”, manufatti dislocati nel vigneto che disponevano di una vasca di raccolta per il pesto e della Tina per la raccolta del mosto,  vinificato in anfore con la parte inferiore a punta che veniva conficcata nel terreno a fermentare e poste in una sorta di camera di fermentazione. Una volta ottenuto il vino veniva esportato nell’antica Roma per essere apprezzato sulle mense delle case patrizie romane. Con questa prima edizione vogliamo esplorare il mondo segreto del Vino del Territorio dei Nebrodi e Dintorni, conoscerne le origini, la storia, e l’arte della vinificazione delle Cantine di oggi tra quelle piu rinomate.

  1. Un Mamertino, un Vino tra i piu apprezzati denominato dalla Cantina Cambria del paese di Furnari “Giulio Cesare” , a ricordare la predilezione dell’imperatore per tale vino e per le case patrizie delll’antica Roma, costituito da vitigni per il 60% di nero d’Avola e il 40 % di Nocera;
  2. La coltivazione della Vite era una pratica agricola collaudata nell’Impero Romano e le tecniche oltre quelle piu antiche di maritare con alberi o tutori in legno le viti, tale tecnica di coltivazione fu perfezionata successivamente e soppiantata dai filari di cannicciati su cui si sviluppavano i tralci. Man mano si imposero degli impianti sempre piu specializzati a filare e si raggiungevano produzione di circa 120-140 quintali a ettaro e una produzione di vino di circa 180-250 ettolitri di vino a ettaro.
  3. Un Nocera in Purezza 100%  denominato “Mastronicola”: Un Vino costituito dal Vitigno Nocera 100% in purezza. Dal Nocera si otteneva un Vino rosso rubino molto apprezzato dall’Imperatore Giulio Cesare e apprezzato da tutti gli intenditori dell’epoca. E’ merito della Cantina Cambria avere scoperto e riportato questo antico Vitigno alla coltivazione e vinificazione.
  4. Romani conoscevano le tecniche per la coltivazione della vite e per la vinificazione, avendole apprese da EtruschiGreci e Cartaginesi e Siculi e Sikani. Infatti già all’epoca degli Etruschi, intorno al V sec. a.C, la penisola Italica era nota come “Enotria“, ossia produttrice di vino. Solo un paio di secoli più tardi Marco Porzio Catone (234-149 a.c.) mise la vigna come la prima delle culture italiche. Inoltre i Romani avevano una predilezione per le attività organizzate e produttive e la viticoltura in questo non rappresenta un’eccezione. Piantagioni specializzate nacquero inizialmente in Campania, e alcune zone della Sicilia.
  5. “Fin Che Venga” uno spumante Brut costituito da un vitigno Nocera al 100% e vinificato con metodo classico;

7.Le prime prove dirette della produzione di vino in Italia risalgono alla metà del VII secolo a.C., sotto forma di  ceramiche per il vino di produzione locale, dunque non importate, presenti in grande quantità nelle tombe dell’epoca. Gli Etruschi stanziati in Toscana ed dell’Alto Lazio si espansero fino alla Campania e a nord all’Emilia-Romagna. La Campania segnava di fatto il confine fra la cultura Etrusca e quella Greca, che coincide grossomodo con il corso del fiume Sele. La vite è un arbusto rampicante, che nei boschi, il suo ambiente naturale, tende a utilizzare un albero portante (tutore) per raggiungere il più possibile la luce, non comportandosi però da parassita, quindi senza interferire con l’albero a cui si aggrappa. Questo tipo di allevamento è detto a vite maritata, con la vite quasi “sposata” all’albero a cui si appoggia. Le viti venivano fatte crescere su pioppi, aceri, olmi, ulivi ed alberi da frutto.Gli Etruschi contribuirono alla diffusione del vino anche oltr’alpe, con imbarcazioni cariche di anfore che solcavano il Tirreno dalla Sicilia alla Gallia meridionale. A Cap d’Antibes è stato trovato il relitto di una nave etrusca contenente circa 170 anfore vinarie. La storia del Vino ha origini antiche.  All’epoca degli Etruschi la viticoltura non era un’attività specializzata e quindi le vigne erano promiscue con altre colture, come cereali, ulivi, alberi da frutta ed altro. Furono gli Etruschi a trasmettere  la cultura della vite e del vino ai Romani, grazie al secondo re di RomaNuma Pompilio, di origine Etrusca.  Fin dall’inizio Etruschi pigiavano l’uva in pigiatoi detti palmenti, scavati in affioramenti rocciosi naturali situati in prossimità dei luoghi dove si trovavano le viti selvatiche o realizzati nelle vigne all’epoca delle prime coltivazioni. I palmenti venivano coperti con tettoie per ombreggiarli e proteggerli dalla pioggia. I primi palmenti in pietra risalgono all’età del Bronzo, ma la loro datazione non è semplice, essendo stati usati per secoli, fino all’epoca medioevale ed in alcuni casi fino al Novecento. Essi consistevano in due cavità poste ad altezze diverse e comunicanti attraverso un canale di scolo. L’uva era pigiata con le mani o i piedi nella vasca superiore, con il canale di scolo chiuso con argilla. Dopo la decantazione si apriva il foro e si lasciava passare il liquido nella vasca inferiore, dove si completava la vinificazione. Le vinacce, nella vasca superiore, venivano pressate con pietre o pezzi di legno per recuperare il mosto residuo. In antichi vasi Greci si vede l’impiego di rudimentali torchi per il vino, costituiti da un tronco appesantito con pietre. Si può presumere che anche gli Etruschi li utilizzassero, anche se la prima documentazione di torchi da vino di questa tipologia in Italia si deve a Catone, nel II sec. a.C. Il primo mosto veniva in genere consumato subito, mentre il restante veniva versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di resina o pece. Il vino veniva lasciato riposare e a primavera era decantato e versato in anfore per il trasporto. Rituali legati al vino erano già presenti in Etruria fin dalla fine dell’età del Bronzo, ma fu in seguito al contatto con la cultura Greca che il vino entrò nelle celebrazioni religiose in particolare in quelle funebri.Circa 5.000 anni fa, nell’era conosciuta come Neolitico l’uomo diviene stanziale ed inizia a lavorare il terreno e a selezionare le varie specie atte alla coltivazione, tra cui la Vitis Vinifera Silvestris.tra il 5000 ed il 1000 a.C. sono state recentemente scoperte in vari siti, soprattutto in regioni dell’Asia minore (CaucasoMesopotamia), dove sembra nasca anche la vinificazione, databile al 4100 a.C. La Vitis Vinifera Sativa, ossia la forma addomesticata della Silvestris è comunque presente in quest’epoca in tutti i territori che si affacciano sul Mediterraneo. protettori delle Viti e del Vino (Dionisio nel caso dei Greci, Bacco per i Romani).

IL VINO NELLA ROMA ANTICA
VINUM VITA EST, NEL VINO E’ LA VITA
Nei primi tempi, il vino proveniva dai vigneti situati presso le zone paludose e dai colli del Lazio. Le vigne erano basse fin quasi a terra, non avevano sostegni e producevano un vino scadente. Il vino fu usato nei riti con sacrifici: in tal caso, esso non doveva essere stato prodotto da acini pigiati da piedi recanti ferite, né da viti non potate, colpite da fulmini o nei cui pressi fosse avvenuta un’impiccagione. Tutto questo era sacrilego. Roma, nella coltivazione delle viti, subì l’influenza degli Etruschi e dei Greci. Gli Etruschi coltivavano la vite già prima dell’arrivo dei Greci e, grazie alla domesticazione delle viti selvatiche tramite supporti lignei, ottenevano vini di migliore qualità. Nel periodo della colonizzazione greca, tra i secoli VIII e VI a.C., si ebbe la diffusione del culto di Dioniso, dio protettore della viticoltura, che dagli Etruschi passò ai Romani con il nome di Bacco. Questi due popoli contribuirono a creare una diversificazione delle piante e dei vitigni, con ripercussioni che si avvertono ancora oggi: alcuni vitigni sono ritenuti i diretti discendenti di quelli dell’antica Roma. Plinio censì ottanta qualità di vino, di cui due terzi prodotte in Italia. Nella prima metà del II sec. a.C., scrisse Catone nel De Agricoltura, il vigneto è ormai la coltura più diffusa. La sua gestione non è più familiare, ma altamente professionale: i vigneti sono aziende agricole efficienti e ben strutturate, che dispongono mediamente di un territorio coltivabile di 200 ettari e di molti schiavi organizzati in maniera quasi militare, costretti a lavorare all’interno di un preciso e sistematico processo produttivo. Il vino si impose come la bevanda più importante sulle tavole di ogni cittadino romano. Ma non erano soltanto gli uomini a bere; il vino mischiato con l’acqua veniva fatto bere come corroborante perfino ad alcune bestie da soma, come buoi surriscaldati e cavalli magri. I metodi di conservazione del vino si differenziavano a seconda del clima. Nelle regioni alpine si usavano contenitori di legno rinforzati con cerchiature (secondo una tecnica di origine gallica), e d’inverno lo si proteggeva dal gelo accendendo dei fuochi. Nelle regioni più miti, era conservato in enormi vasi di terracotta (dolium, doglio) trattati con pece, lavati con acqua salata, cosparsi di cenere, fatti asciugare, profumati con la mirra e interrati. Un altro metodo per conservare il vino era quello dell’affumicatura, diffusamente praticato nella città di Marsiglia. Il vino arrivava a Roma a bordo di navi speciali (vinariae), contenuto in anfore dalla capacità di circa venti litri. Le anfore venivano tappate con sugheri e sigillate con pece, argilla e gesso; il contenuto e l’annata del vino venivano identificati mediante un’iscrizione sull’anfora o su un’etichetta (pittacium). Roma aveva un porto (portus vinarius) e un mercato (forum vinarium), dedicati allo scarico e alla vendita del vino. Nella Roma antica, ciò che soprattutto interessava del vino era l’effetto euforizzante e socializzante e le presunte virtù terapeutiche. I Romani non bevevano mai vino puro, e chi lo faceva era considerato un ubriacone; esso veniva allungato con l’acqua, consentendo di berne in grande quantità. Si ricavava il vino anche da fichi, datteri, carrube, pere, mele, corniole, mirto, nespole, sorbe, more secche, pinoli. Molto spesso veniva aromatizzato con le numerose spezie e altri prodotti disponibili sul mercato: mirra, nardo, calamo, cannella, cinnamomo, zafferano, palma, asaro, alloro, miele, datteri, pepe, chiodi di garofano, zenzero, ambra, resina, muschio, susina. Molto usato era anche il finocchio, e lo fu anche con il passare dei secoli: in epoca moderna, verrà utilizzato per mascherare il sapore del vino andato a male. Da questa abitudine nasce la parola infinocchiare. Un tipo di vino molto bevuto era il mulsum, un vino dolcificato con il miele, ma talvolta anche con i fichi e i datteri. Secondo una leggenda, il primo a mescolare il miele al vino fu Aristeo in Tracia: il vino era quello di Maronea, che, secondo Omero, Ulisse offrì a Polifemo per farlo ubriacare. Si otteneva vino anche dall’uva passita, famoso era quello di Creta, e si usava anche consumare il vino sciogliendoci sopra la neve o filtrandolo in un soffice sacchetto di lino. Erano già conosciute le serre, alcune viti venivano infatti coltivate all’interno di costruzioni di vetro. Alla fine della Repubblica, i membri delle classi superiori ebbero la possibilità di gustare vini di differente provenienza e qualità e di poterne apprezzare le diverse peculiarità. Grande prestigio aveva il vino Cecubo, presto scomparso per colpa dei produttori, per le piccole dimensioni dei campi e per le espropriazioni fondiarie eseguite da Nerone, in vista della costruzione di un canale navigabile. L’imperatore Augusto preferì su tutti il vino di Sezze, prodotto all’inizio della pianura pontina a sud-ovest di Roma; mentre Marziale amava il vino spagnolo di Tarragona, da lui considerato inferiore solo ai vini campani. Un’idea per capire quali fossero i vini più pregiati dell’epoca ci viene da Cesare, che, in occasione del suo trionfo, ne offrì due greci, prodotti a Chio e Lesbo, e due italiani: il siciliano Mamertino e il campano Falerno. Il Falernum era prodotto nell’Ager Falernus, tra Caleno e Sinuessa in Campania, presso il Monte Massico. Questo è da considerare, probabilmente, il primo territorio che ha prodotto un vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC): le anfore di Falernum, infatti, recavano scritto oltre alla data di produzione, anche il luogo di provenienza. Questo vino si distingueva dagli altri per la sua capacità di invecchiamento. Nel III sec. d.C., con la fine dell’espansione territoriale e del conseguente minor numero di prigionieri di guerra da asservire, a Roma cambia anche la produzione vinicola, che ritorna a forme meno ottimizzate; a questo si aggiunge la forte spinta moralizzatrice della tradizione cristiana, con l’affermazione di una visione più morigerata della vita e dei costumi; eppure fu paradossalmente proprio grazie alla Chiesa che la tecnologia vinicola e la viticoltura riuscirono a sopravvivere, essendo il vino elemento fondamentale per la celebrazione della messa.

 

 

Data

20 Marzo 2024
Scaduto

Ora

Partenza alle 16.15 dal Ritrovo dei Re alla Taberna di Arnaldo Vicino al Castello
16:30 - 18:30

Prezzo

12,00€

Luogo Evento

Ritrovo dei Re alla Taberna di Arnaldo
Via cavalier cernuto 18

Organizzatore

Handmade az.agr.Soc. Sociale
Handmade az.agr.Soc. Sociale
Telefono
3467654899
Email
handmademontalbanoelicona@gmail.com

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